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mar la madre, la condusse all’uscio del rinchiuso e, tendendo di nuovo l’orecchio, le disse:

— Senti? senti? Mamma, senti?

Veniva dalla stanza, attraverso l’uscio, un romor sordo, continuo, come un rugliar di cane aizzato.

— Francesco! — chiamò forte la signora Ajala.

— Babbo! — chiamò Maria, lì lì per piangere.

Nessuna risposta. La madre afferrò con mano convulsa la gruccia dell’uscio e spinse e scosse: invano. Attese: il rantolo continuava, crescente come in un ringhio.

— Francesco! — chiamò di nuovo.

— Mamma! oh mamma.... — fece Maria, presaga, torcendosi le mani.

La signora Ajala diede allora una spallata all’uscio resistente; una seconda; alla terza l’uscio cedette.

Nella camera al bujo giaceva Francesco Ajala, bocconi sul pavimento, con un braccio proteso, l’altro storto sotto il petto.

Al grido acutissimo della madre e di Maria rispose dalla camera della partoriente come un ùlulo lungo, ferino. Accorse Anna Veronica, accorse il medico; si spalancarono le imposte; e il corpo inerte, fulminato di Francesco Ajala fu deposto con inutile cautela sul letto e messo quasi a sedere, sorretto da guanciali.