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stizza la scoteva tutta a ogni sennato, placido consiglio ch’esse le rivolgevano.

Nella stanzetta accanto, un giovane medico, alto, pallido, biondiccio, chiamato per consiglio della levatrice molto impensierita per lo stato della partoriente, di nascosto disponeva e apparecchiava con minuziosa cura, su un tavolino, fasce, compresse, fiaschi, tubi elastici, strumenti di strana forma. E ogni volta, posando con studiata disposizione l’oggetto preparato, pareva dicesse: — E questo è fatto! — A quando a quando tendeva l’orecchio e sorrideva fra sè per qualche lamento della partoriente.

— Mamma, muojo! — nicchiava Marta, agitando continuamente, regolarmente la testa da un lato all’altro. — Mamma, muojo! Ah, mamma! ah, mamma!

E stringeva forte un braccio della madre, che la sorreggeva guardandola con infinita pietà tra le lagrime che le rigavano il volto, dilaniata dai gemiti sordi o acuti, dal mugolìo continuo della figlia: lì, addossate tutt’e due ad un angolo della camera, come se lì soltanto ella potesse soffrir meno.

Maria s’era ritirata con Anna Veronica in una stanza lontana, prossima a quella del padre, e Anna a bassa voce procurava di calmar l’ansia e l’impazienza di lei.