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VI.
Col capo abbandonato su la spalliera dell’ampia poltrona, le belle mani diafane su i bracciuoli, in un’atonia invincibile, Marta ora si affisava a lungo su qualche mobile della camera; e le pareva che soltanto adesso le si chiarisse, ma stranamente, il significato dei singoli oggetti, e li esaminava, ne concepiva quasi l’esistenza astraendoli dalle relazioni tra essi e lei. Poi gli occhi le si fermavano di nuovo su la madre, su Maria, su Anna Veronica, che lavoravano in silenzio davanti a lei; abbassava le palpebre, traeva un lungo sospiro di stanchezza.
Così passavano lentissimamente i giorni della triste attesa.
Finalmente una mattina, poco prima di mezzogiorno, le sopravvennero le doglie.
Gelata, con la fronte molle di sudore, si agitava per la camera, non trovava più luogo da schermire lo spasimo; e intanto guardava con terrore la vecchia levatrice e un’altra donna assistente che preparavano il letto. Un fremito di