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dava quasi furtivamente. Difatti, la domenica appresso, ella aveva riveduto Anna Veronica in chiesa, le si era seduta accanto e, dopo messa, avevano parlato a lungo, commovendosi ai ricordi della loro antica amicizia e alle vicende e ai tristissimi casi occorsi ad ambedue.
E ora che Francesco Ajala se ne stava sempre rinchiuso, non poteva Anna Veronica venire di nascosto a tener compagnia, ad ajutare come un tempo l’amica nei suoi lavori di cucito?
Poteva, sì. Ed ecco, Anna Veronica attraversava in punta di piedi la stanza attigua a quella del rinchiuso; si liberava del lungo scialle nero da penitente; e, sorridendo a Marta e a Maria con due diversi sorrisi:
— Eccomi qua, figliuole mie, — diceva sottovoce. — Che c’è da fare?
Marta assisteva la sera a quel lavoro amoroso della madre e dell’amica; e spesso, fissando quelle fasce, quelle carnicine, quei corpettini, quelle cuffiette nel canestro, gli occhi le s’infoscavano o le si riempivano di tacite lagrime.
Intanto Paolo a bassa voce si sforzava di fare intendere a Maria il congegno della concerìa: la macina ritta per schiacciare le bucce di mortella o di sommacco, le trosce per l’addobbo dei cuoi, il mortajo.... — o le rifaceva la cronaca del paese. Si era sossopra per le imminenti elezioni