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aveva riso, come di superfluità galanti e innocue. S’era insomma impegnata tra loro due una polemica puramente sentimentale e quasi letteraria, la quale era durata così circa tre mesi, e di cui forse, sì, ella si era un po’ compiaciuta, nell’ozio, nella solitudine in cui la lasciava il marito. Curando la forma, scegliendo le frasi, come per un componimento scolastico, ella era orgogliosa di fronte a sè stessa di quel segreto duello intellettuale con un uomo quale l’Alvignani, avvocato di grido, lodato, ammirato, corteggiato da tutta la città, che si preparava ad eleggerlo deputato.

L’irrompere del marito nella camera, mentr’ella leggeva la lettera, nella quale per la prima volta l’Alvignani s’era arrischiato di darle del tu, la scena violenta che n’era seguita, la avevano stupita e spaventata tanto più, in quanto che ella si sentiva, leggendola, affatto calma e indifferente. Innocente, diceva lei.

A ogni donna onesta, che non fosse brutta, poteva capitar facilmente di vedersi guardata con strana ed acuta insistenza da qualcuno; e se colta all’improvviso, turbarsene; se prevenuta della propria bellezza, compiacersene. Ora a nessuna donna onesta, nel segreto della propria coscienza, sarebbe sembrato di commettere un delitto, in quell’istante di turbamento o di com-