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— Marta, sì, sarà colpevole, — si piegò allora a dire la madre, — ma d’una leggerezza, non d’altro. E ora tu che vuoi fare? Partire, è vero? Affrontar colui, tu! E non intendi che la sciagura, così.... Lasciami dire, per carità! Ho fede, io, ho fede che un giorno, presto, la luce si farà....

— Non scusare! Non scusare!

— Non scuso Marta, no; accuso me, va bene? Me, me, perchè io non dovevo lasciarlo fare questo matrimonio....

— Accusi anche me, dunque?

— Ma se tu stesso l’hai detto! Non te n’eri pentito? Abbiamo avuto troppa fretta di maritarla, e confessa che abbiamo scelto male! E quel che le toccò soffrire sotto la tirannia di quella strega della zia e del padre infame, prima che Rocco si risolvesse a far casa da sè? Questo non la scusa, sì, è vero, lo so; ma può rendere, mi sembra, meno severi nella pena. È pure una disgraziata.... sì, una....

Non potè seguitare. Nascose il volto nel fazzoletto, scossa dai singhiozzi irrefrenabili.

Egli, con un gomito appoggiato al muro e la fronte nella mano, scompigliava ritmicamente col piede un mucchietto di ferruche raccolte lì nell’androne, e, con le ciglia giunte, irsute, aggrondate, pareva solo intento a quell’esercizio del piede. Poi disse con voce cupa: