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letticciuolo dai trespoli esposti le solide braccia d’una servotta, che lo rifacessero almeno una volta la settimana; reclamavano gli abiti del signor Madden non una spazzola, ma una brusca, piuttosto, da cavallo.
Le vetrate dell’unica finestra erano aperte; le persiane, accostate a fessolino. Le scarpe del signor Madden, una qua, una là, in mezzo alla camera.
— Oh Rocco! — esclamò egli con la barbara pronunzia, nella quale gargarizzava, schiacciava, sputava vocali e consonanti, con sillabazione spezzata, come se parlasse con una patata calda in bocca.
— Scusa, Bill, se vengo così tardi, — disse Rocco, con faccia cadaverica. — Ho bisogno di te.
Bill ripeteva quasi sempre le ultime parole del suo interlocutore, come per agganciarvi la risposta:
— Di me? Un momento. È mio dovere di rimettere prima le scarpe.
E guardò, sconcertato, la ferita su la fronte dell’amico.
— Ho avuto una lite.
— Non capisco.
— Una lite! — ripetè con forza Rocco, additando la fronte.
— Ah, una lite, benissimo: a strife, der Streite,