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micia aperta sul seno secco, ossuto, orribile a vedere.
— Rocco.... — mormorò ancora una volta la moribonda, fissando lungamente gli occhi in volto a Marta, come assetata.
— Che dice? — domandò la Juè curva, con la veste alzata fin sopra il ginocchio, mentre si tirava sopra la gamba tozza, tosta, la calza ricaduta su la fiocca del piede.
— Chiama il figlio.... — rispose Marta, riaccostandosi alla giacente, per dirle: — Verrà, non dubiti.... Ora gli scrivo che venga subito....
Ma la moribonda non comprese e ripetè con fievolissima voce, cercando con gli occhi intorno per la stanza:
— Rocco....
— Un telegramma, è vero? — disse la Juè. — Andrà Fifo al telegrafo.... Non c’è tempo da perdere. Ecco, qui nei cassetto ci dev’essere carta e l’occorrente per scrivere.... Mio Dio, che puzzo.... sente? Che è che puzza così in questa camera?
Era sul tavolino, presso la finestra, un bicchiere a metà pieno d’una mistura verdastra, esalante un pestifero odore.
— Ah, tu? — fece la Juè, additando con l’indice tozzo il bicchiere: — Adesso ti butto!
Marta accorse:
— No, che è?