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— Ma pensate a vojaltri, voi, che a me ci penso io!

— A lui, oibò! a lui.... ah, figlio mio! — esclamò sogghignando il Pentàgora. — Ma San Silvestro.... Ma San Martino....

— Va bene, va bene, — rispose Niccolino irritatissimo. — Ma a noi la mamma, poveretta, che male ha fatto, se pur è vero che...?

— Niccoli’, ora mi secchi! — lo interruppe il padre, levandosi in piedi. — È destino, sciocconaccio! Ed io parlo per il tuo bene. Prendi, prendi moglie, se tre esperienze non ti bastano, e — se sei davvero dei Pentàgora — vedrai!

Si liberò del gatto con una scrollata, tolse dal canterano la candela e, senza neanche accenderla, scappò via.

Rocco aprì la finestra e si mise a guardar fuori a lungo.

La notte era umida. In basso, dopo il ripido degradare delle ultime case giù per la collina, la pianura immensa, solitaria, si stendeva sotto un velo triste di nebbia, fino al mare laggiù, rischiarato pallidamente dalla luna. Quant’aria, quanto spazio, fuori di quell’alta finestra angusta! Guardò la facciata della casa, esposta lassù ai venti, alle piogge, malinconica nell’umidor lunare; guardò in basso la viuzza nera, deserta, vegliata da un solo fanale piagnucoloso; i tetti delle povere case raccolte nel sonno; e si sentì