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di Niccolino. — Vieni qua, Roccuccio! Lèvati codesto cappello dagli occhi.... Ah, già: la ferita! Lasciami vedere....
— Che m’importa della ferita? — gridò Rocco, quasi piangente dalla rabbia, sbertucciando e sbatacchiando il cappello sul pavimento.
— Sì, guarda come ti sei conciato.... Acqua e aceto, sùbito: un bagnolo.
Rocco minacciò:
— Ancora? Me ne vado!
— E vattene! Che vuoi da me? Parla, sfògati! Ti prendo con le buone, e spari calci.... Mettiti il cuore in pace, figliuolo mio! La lettera, io dico, avresti potuto raccoglierla con più garbo, senza romperti così la fronte nello sportello dell’armadio.... Ma basta: sciocchezze! Denari, ne hai quanti ne vuoi; femmine, potrai averne quante ne vorrai. Sciocchezze!
Sciocchezze! era il suo modo d’intercalare e accompagnava ogni volta l’esclamazione con un gesto espressivo della mano e una contrazione della guancia.
Si levò di tavola e, recatosi presso il cassettone, su cui stava accoccolato un grosso gatto bigio, trasse una candela; staccò, per dare a vedere ciò che intendeva fare, i gocciolotti dal fusto; poi l’accese e sospirò:
— E ora, con l’ajuto di Dio, andiamo a dormire!