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— Ricordati, oh! che te l’avevo predetto, — uscì a dir finalmente il Pentàgora.
Sonò il suo vocione così urtante nel silenzio, che la sorella Sidora, quantunque sempre astratta, balzò ancora qui da sedere, tolse dalla tavola il piatto dell’insalata, ghermì un tozzo di pane, e scappò via, a finir di cenare in un’altra stanza.
Antonio Pentàgora la seguì con gli occhi fino all’uscio, poi guardò Niccolino e si stropicciò il capo raso con ambo le mani, aprendo le labbra a un ghigno frigido, muto.
Ricordava.
Tant’anni addietro, anche a lui, di ritorno alla casa paterna dopo il tradimento della moglie, la sorella Sidora, bisbetica fin da ragazza, aveva voluto che non si movesse alcun rimprovero. Zitta zitta, ella lo aveva condotto nell’antica sua camera da scapolo, come se con ciò avesse voluto dimostrargli ch’ella si aspettava di vederselo un giorno o l’altro ricomparire dinanzi, tradito e pentito.
— Te lo avevo predetto! — ripetè, riscotendosi da quel ricordo lontano, con un sospiro.
Rocco si alzò, smanioso, esclamando:
— Non trovi altro da dirmi?
Niccolino allora tirò, sotto sotto, la giacca al padre, come per dirgli: “Stia zitto!„
— No! — gridò forte il Pentàgora su la faccia