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Ma perchè doveva essere una vittima, lei? lei, che aveva vinto? una morta, lei che faceva vivere? Che aveva fatto, lei, per perdere il diritto alla vita? Nulla, nulla.... E perchè soffrire, dunque, l’ingiustizia patente di tutti? Nè l’ingiustizia soltanto: anche gli oltraggi e le calunnie. Nè la condanna ingiusta era riparabile. Chi avrebbe più creduto infatti all’innocenza di lei dopo quello che il marito e il padre avevano fatto? Nessun compenso dunque alla guerra patita: era perduta per sempre. L’innocenza, l’innocenza sua le scottava, le gridava vendetta. E il vendicatore era venuto.

Gregorio Alvignani era venuto, era a Palermo: le aveva scritto, unendo alla lettera un biglietto d’invito per la conferenza ch’egli il giorno appresso avrebbe tenuto all’Università nelle ore antimeridiane. — “Venga, Marta!„ — diceva a quel punto la lettera, ch’ella riteneva a memoria quasi parola per parola: — “Venga, s’accompagni con la direttrice del collegio. Vedrà di che luce s’accenderanno le mie parole, sapendo che lei sarà lì ad ascoltarle„.

No, no. Come andare? Già aveva lacerato il biglietto d’invito. E poi....

Ma lo avrebbe riveduto lo stesso, il giorno dopo. Egli le scriveva che si sarebbe recato al collegio per sentire dalle labbra di lei se vi stesse