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— Buono! Roccuccio, vino nuovo; fa stringer l’occhio.... Assaggia, assaggia, ti rimetterà lo stomaco. Sciocchezze, figlio mio!
E tracannò il resto in un flato.
— Non vuoi cenare? — domandò poi.
— Non può cenare, — osservò piano Niccolino.
Tacquero tutti, badando che le forchette non frugassero nei piatti, come per non offendere il silenzio ch’empiva penosamente lo stanzone. Ed ecco la signora Popònica, coi capelli color tabacco di Spagna, unti non si sa di qual manteca, con gli occhi ammaccati e la bocca grinzosa appuntita, entrar tentennante su le gambette, forbendosi le mani piccole, sconciate dal lavoro, in una giacca smessa del padrone, legata per le maniche intorno alla vita, a mo’ di grembiule. La tintura dei capelli, l’aria mesta del volto davano a vedere chiaramente che quella povera signora caduta in bassa fortuna avrebbe forse desiderato qualcosa di più che il disperato amplesso di quelle maniche vuote.
Subito Antonio Pentàgora con la mano le fe’ cenno d’andar via: non c’era più bisogno di lei, poichè Rocco non voleva cenare. Quella inarcò le ciglia, sbalzandole fin sotto i capelli, distese su gli occhi dolenti le pàlpebre cartilaginose, e andò via, dignitosa, sospirando.