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Falcone la spiava di sbieco, aombrato. Scorse a un tratto un repentino cambiamento sul volto di Marta, un pallor fosco, un corrugarsi sdegnoso delle ciglia. Erano già sui portone. Marta non leggeva più; guardava innanzi a sé, sopra pensiero, la pioggia che balzava sul fango della via.

— Vogliamo andare? — le disse egli cupamente, aprendo l’ombrello.

— Ah, sì, eccomi.... scusi! — rispose Marta, scotendosi, ripiegando la lettera e cacciandosi sotto l’ombrello.

Non badava più al contatto, per altro inevitabile, del suo braccio col braccio del Falcone, nè notava lo studio penoso di questo per andare più spedito accanto a lei, a lei che avrebbe voluto fuggire, non più per lui (e il Falcone lo intuiva) ma per qualche notizia contenuta in quella lettera. Roso dalla gelosia, egli ormai non si curava dei piedi che, nell’andar così di fretta, s’arrabattavano sovrapponendosi man mano molto più goffamente del solito. Avrebbe voluto gridare a Marta di chi fosse, che contenesse quella lettera; e intanto la lasciava sguazzare e inzuppare, temendo che il suo richiamo ad andar più cauta potesse da lei essere interpretato come un pietoso accenno a’ suoi piedi che, veramente, non potevano più seguirla in quella corsa e