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III.
Anche lui forse, Attilio Nusco, nell’intimo suo sentiva la povertà delle proprie maniere, e come dovesse parere altrui compassionevolmente ridicola la sua invincibile ritrosia; e forse se n’adontava e, non visto da alcuno, si ribellava contro sè medesimo; poichè fra sè egli non doveva stimarsi affatto uno sciocco. Chi sa quant’altri, invece, pensando, stimava egli sciocchi!
Proprio in quei giorni aveva mandato a stampa su un giornale letterario della città un sonetto per Marta.
Pompeo Emanuele Mormoni lo aveva scoperto. Il sonetto, veramente, portava un titolo misterioso: A lei.
— A lei?... A chi? Ci son tante donne a questo mondo.... Più delle mosche! Io fo le viste di non aver capito a chi si riferisca.
E il giorno dopo, traendo profitto del pudore del Nusco, diede egli stesso il giornale a Marta, sicuro di farle stizza.
— C’è un sonetto del Nusco: A lei.
— A me? — disse Marta, sorpresa, invermigliandosi.