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monumentali, per cui tutte le seggiole diventavano quasi tanti piedistalli per lui: — Scolpitemi così!
Marta di tanto in tanto sentiva scricchiolare la seggiola, su cui il Mormoni stava seduto, e tratteneva a stento un sorriso. Tutte le seggiole della sala d’aspetto, da un mese a quella parte, erano sfilate; a una era saltata la cartella, a un’altra le stecche.
Attilio Nusco, l’altro insegnante, chiamato comunemente nel Collegio il professuricchio, era al contrario fino fino, piccolo, gracile, timido, tutto vibrante, tutto impacciato. Povero Nusco, come se diffidasse di trovare il suo posticino nella vita, pareva che con lo sguardo, coi sorrisi, con gl’inchini frettolosi della miserrima personcina, volesse accaparrarsi il favore degli altri, per non esser cacciato via. E occupava, sedendo, il minor posto possibile (scusi! scusi!); parlando, la voce gli tremava; non contradiceva mai alcuno; era come imbarazzato sempre dell’eccessiva sua compitezza. Avrebbe voluto pesare su gli altri men che un fuscellino di paglia. E intanto, il cuore!... Ah, quella Marta: non s’accorgeva proprio di nulla?
Il poveretto si provava man mano a uscire un tantino dalla propria timidezza, come dalla tana una lucertolina insidiata: prima la punta