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Se ne doleva? No: eran momenti di passeggera tristezza. Dopo la fosca invernata, durante la quale il colore del tempo s’era accordato coi suoi pensieri, si ridestava adesso per quella nuova via al gajo sole di primavera, di cui un raggio era penetrato a frugare, a sommuoverle la torbida posatura di tanti dolori in fondo al cuore: ed era triste per questo; o era effetto della lettera di Anna Veronica o della musica di Maria?
Non voleva più curarsi di sè. La madre si era rimessa a pettinarla ogni mattina; ma lei non voleva che perdesse tanto tempo ad acconciarla.
— Basta, mamma.... Lascia.... Così va bene....
E allontanava lo specchietto a bilico che teneva sul tavolino, quasi infastidita della propria immagine, dello splendore intenso degli occhi, delle labbra accese. Se poi la madre la costringeva a stare ancor seduta, sotto il pettine, ella sbuffava dall’impazienza, diventava irrequieta, smaniosa, come se sottostesse a una tortura. Perchè, a che pro, adesso, tanto studio e tanto amore per la sua acconciatura? Non intendeva la madre che a lei, adesso, non doveva importare proprio nulla di comparire più o meno bella?
E un giorno che la madre volle provarle i ricci su la fronte, non ostante le vivaci ripulse, terminata l’acconciatura. Marta piangeva.