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erano messi a trattar l’Ajala; e rimpiangevano quella cara maestra Flori, che non avrebbero più riveduta. La Flori: che pena!

Riusciti vani i nuovi e più aspri reclami delle famiglie, le ragazze (assentatesi per alcuni giorni dalla scuola all’annunzio della nomina di Marta) cominciarono man mano a ripigliare le lezioni; ma cattive, mal prevenute, astiose, messe su evidentemente contro la nuova maestra dai genitori.

A nulla giovò l’affabilità con cui Marta le accolse per disarmarle fin da principio; a nulla la prudenza e la longanimità. Esse si sottraevano sgarbatamente alle carezze, si mostravano sorde ai benevoli ammonimenti, scrollavano le spalle a qualche rara minaccia; e le più cattive, nell’ora della ricreazione in giardino, sparlavano di lei in modo da farsi sentire o, per farle dispetto, accorrevano ad attorniare le antiche maestre e a carezzarle, piene di moine e di premure, lasciando lei sola a passeggiare in disparte.

Ritornando a casa, dopo sei ore di pena, Marta doveva fare uno sforzo violento su se stessa per nascondere alla madre e a la sorella il suo animo oppresso, esasperato.

Ma un giorno, ritornando più presto dal Collegio, accesa in volto, vibrante d’ira contenuta a stento, appena la madre e Anna Veronica le domandarono che le fosse avvenuto, ella, ancora