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sotto i balconi dell’altra casa, Marta sentiva più forte l’impulso alla lotta; sentiva veramente, in quella vigilia, ch’ella sarebbe risorta dall’onta vile e ingiusta; armata di sprezzo e con l’orgoglio di poter dire: — Ho sollevato dalla miseria mia madre, mia sorella: esse vivono ora per me, di me!
A poco a poco, confortata da questi pensieri, e la cura dell’avvenire sovrapponendosi nell’anima di lei alla costernazione per l’imminente prova, giunse a vincere la trepidazione; ma non cessò la smania, e quella si ridestò e crebbe, fino a divenire smarrimento, la mattina, al levarsi da letto.
Non sapeva più ciò che dovesse fare: si guardava attorno, quasi aspettando che la povera e scarsa suppellettile della camera glielo suggerisse, richiamandola: là il catino, in cui doveva lavarsi; qua la seggiola, su cui eran le vesti che doveva indossare. Poco dopo si diede a far tutto frettolosamente.
Mentre si pettinava, così alla meglio, senza specchio, entrò la madre già pronta per accompagnarla.
— Oh brava, mamma! Finisci di pettinarmi tu, ti prego.... È tardi!
E la madre si mise a pettinarla, come soleva ogni mattina quando ella si recava a scuola.