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— Mamma, — la interruppe Marta, alteramente, — è inutile star qui a discutere. Lasciali entrare. Sono comandati: debbono fare il loro dovere.

— Con dolore, si.... — aggiunse don Protogene.

— Eh, purtroppo....

Chiuse gli occhi, aprì le mani e applicò la punta della lingua al labbro superiore.

— Abbiano pazienza, — riprese poco dopo, — donde dobbiamo cominciare? Se la signora volesse avere la bontà....

— Seguitemi, — ordinò Marta. — Ecco il salotto.

Aprì l’uscio ed entrò innanzi a gli altri per dar luce alla stanza, che da tanti mesi dormiva con gli scuri chiusi, abbandonata. Poi, rivolta alla madre e a la sorella, soggiunse:

— Andate via. Attenderò io a costoro.

I due giovanotti si guardarono mortificati; e il biondo, ch’era un forense, già galoppino di Gregorio Alvignani, e che aveva pregato insistentemente il vecchio usciere di portarselo con sè come testimonio, per curiosità di veder Marta da vicino, disse, guardandosi le unghie lunghe, scarnate:

— Noi siamo dispiacenti, creda, signora....

Marta lo interruppe, con lo stesso piglio sprezzante.

— Sbrigatevi. Son discorsi inutili.