Questa pagina è stata trascritta, formattata e riletta. |
— 105 — |
aveva raccolto in paese. Zitto zitto, per non dar più luogo a ciarle, s’era liberato dell’amante, e gli era tornato in casa come un funerale.
— E perchè? L’hai forse ucciso tu Francesco Ajala?
Non c’era stato verso, per lungo tempo, d’indurlo a uscir di casa, a divagarsi. Cavalli, cavalli da tiro e da sella: sei cavalli gli aveva comperati! Dopo quindici giorni non aveva più voluto saperne. — E allora, che altro? Un viaggetto di distrazione, in Italia o all’estero? — No: neppur questo! — Il giuoco, al circolo? — Novemila lire perdute in una sola sera. E gliele aveva pagate, senza neppur fiatare.
Ebbene, che gli restava da fare? S’era presentata l’occasione della festa dei Santi patroni: a mali estremi, estremi rimedii: e aveva provocato lo scandalo della processione sotto i balconi di casa Ajala.
Non se ne pentiva. Rocco era scappato via come una mala bestia, sparando calci, alla bollatura di fuoco. Si: gliel’aveva data un po’ troppo forte, poverino. Ma ci voleva! Col tempo si sarebbe calmato e lo avrebbe ringraziato.
— Senti, senti la pazza! — fece tra sè Antonio Pentàgora, riscotendosi al fitto bofonchìo precipitoso de la sorella Sidora, che s’aggirava smaniosamente per casa.