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degno galantuomo che lo esercita da tant’anni e non può farne a meno. Io di corna fo negozio.

Era divenuto così cinico nel linguaggio, involontariamente. Diceva queste cose con la massima naturalezza. E derideva lui per primo la sua disgrazia conjugale, per prevenire gli altri e disarmarli. Si sentiva in società come sperduto in mezzo a un campo nemico. E quel suo ghigno era come il digrignare d’un cane inseguito, quando si volta. Per fortuna, era ricco: dunque, forte. Non aveva da temere. Tutta la gente, infatti, gli faceva largo: largo al vitello, anzi al bue d’oro!

— Sciocchezze!

Dopo il tradimento, per lui inevitabile, della nuora, si era rallegrato della sfacciata relazione di Rocco con quella donnetta galante:

— Bravo Roccuccio! Mi piace. Ora sei al tuo posto. Vedrai che a poco a poco.... Fammi tastar la fronte....

Ma no: quello scioccone non ci s’era sentito a suo agio, nel posto assegnatogli dalla sorte. Imbronciato sempre, sgarbato, di pessimo umore. E più volte egli lo aveva rimproverato. Poi, all’improvviso, era accaduta la morte di Francesco Ajala, del Bau! Ebbene, e quell’animella squinternata s’era d’un subito sentita schiacciare dall’unanime compianto che quel pazzo furioso