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Sapeva, sapeva d’essere inviso a tutti, cominciando dagli stessi suoi figliuoli. Mah!... E poi? Non era in suo potere portarci rimedio: doveva essere così, per forza. Per i Pentàgora, cui la sorte s’era divertita a bollare col marchio dei cervi, non c’era remissione: — Là! o esposti all’odio o al dileggio. Meglio all’odio. Era destino!

Tutti gli uomini, per lui, venivano al mondo con la parte assegnata. Sciocchezza il credere di poterla cambiare. Anch’egli, in gioventù, come adesso i figliuoli, lo aveva creduto per un momento possibile; aveva sperato, s’era lusingato: gli era parso d’aver nel cuore, come il povero Niccolino, sentimenti nobili, generosi: s’era affidato ad essi, dov’era giunto? Gira gira, alle corna. La parte era quella, doveva esser quella.

S’era così fissato in questo suo modo di pensare, che se per caso qualcuno, spinto dal bisogno, veniva a chiedergli ajuto, egli, pur sentendosi talvolta inchinevole a cedere, già commosso, si frenava, sbuffava, poi apriva le labbra al ghigno frigido, muto, che gli era abituale, e consigliava a quel povero diavolo di rivolgersi altrove: al tal dei tali, per esempio, buon filantropo del paese:

— Va’ da lui, caro mio: è nato apposta per soccorrere la gente. Io no, vedi. A me, quest’ufficio non m’appartiene. Farei un’offesa a quel