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su quel fermento, e le campane delle altre chiese rispondevano in distanza.

A un tratto, tutta la folla si commosse, si sospinse premuta da mille forze contrarie, non badando agli urti, alle ammaccature, alla soffocazione, pur di vedere.

— Eccolo! Eccolo! Spunta!

Le donne singhiozzavano, molti imprecavano inferociti, divincolandosi rabbiosamente tra la calca che impediva loro di vedere; tutti vociavano in preda al delirio. E le campane rintonavano, come impazzite dagli urli de la folla.

Il fèrcolo irruppe a un tratto, violentemente, dal portone e s’arrestò di botto là, innanzi alla chiesa. Allora il grido uscì frenetico da migliaja di gole:

— Viva San Cosimo e Damiano!

E migliaja, migliaja di braccia s’agitarono per aria, come se tutto il popolo si fosse levato in furore, a una mischia disperata.

— Largo! Largo! — si gridò da ogni parte, poco dopo. — La via al Santo! La via al Santo!

E innanzi al fèrcolo, lungo la piazza, la gente cominciò a ritrarsi di qua e di là a stento, respinta con violenza dalle guardie, per aprire un solco. Si sapeva che i due Santi procedevano per la via quasi di corsa, a tempesta: erano i Santi della salute, i salvatori del paese nelle epidemie del colera, e dovevan correre perciò