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prese d’assalto da un ragazzetto quasi tutto ignudo, con la camicina soltanto, sudicia, che gli cadeva a sbrendoli su le gambette magre, terrose; il visetto, giallo e sporco. Con una manina egli afferrò lo scialle di Marta e non volle più lasciarlo, pregando che gli facessero la carità: era figlio di un muratore caduto dalla fabbrica.

— È vero, — confermò Maria. — Ieri, da una impalcatura. S’è rotto un braccio e una gamba.

— Vieni, vieni con me, povero piccino! — disse allora Marta, avviandosi.

— No, Marta.... — fece Maria, guardando pietosamente la sorella; ma subito abbassò gli occhi, come pentita, contrariata.

— Perchè? — le domandò Marta.

— Nulla, nulla.... andiamo.... — rispose frettolosamente Maria.

Giunte a casa, Marta domandò alla madre qualche soldo per quel ragazzo.

— Oh figlia mia! Non ne abbiamo più neanche per noi....

— Come!

— Sì, sì.... — seguitò tra le lagrime la madre.

— Paolo è scomparso da due giorni; non si sa dove sia.... La conceria chiusa; vi hanno apposto i suggelli.... È la nostra rovina! State qui, figliuole mie. Diglielo tu, Maria. Io debbo recarmi subito dall’avvocato.