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a buttarlo lì, per togliermi ogni tentazione. Spero che potrò conservare tanto da pagarmi il ritorno a casa. E se no...

Avevo sentito dire che c’erano begli alberi — solidi — nel giardino attorno alla bisca. In fin de’ conti, magari mi sarei appeso economicamente a qualcuno di essi, con la cintola dei calzoni; e ci avrei fatto anche una bella figura. Avrebbero detto:

— Chi sa quanto avrà perduto questo pover’uomo! —

Mi aspettavo di meglio, dico la verità. L’ingresso, sì, non c’è male; si vede che hanno avuto quasi l’intenzione d’innalzare un tempio alla Fortuna, con quelle otto colonne di marmo. Un portone e due porte laterali. Su queste era scritto Tirez; e fin qui ci arrivavo; arrivai anche al Poussez del portone, che evidentemente voleva dire il contrario; spinsi ed entrai.

Pessimo gusto! E fa dispetto. Potrebbero almeno offrire a tutti coloro che vanno a lasciar lì tanto denaro la soddisfazione di vedersi scorticati in un luogo men sontuoso e più bello. Tutte le grandi città si compiacciono adesso di avere un bel mattatojo per le povere bestie, le quali pure, prive come sono d’ogni educazione, non possono goderne. E vero tuttavia che la maggior parte della gente che va lì ha ben altra voglia che quella di badare al gusto della decorazione di quelle cinque sale, come coloro che seggono su quei divani, giro giro, non sono spesso in condizione di accorgersi della dubbia eleganza dell’imbottitura.

Vi seggono, di solito, certi disgraziati, cui la passione del giuoco ha sconvolto il cervello nel modo più singolare: stanno li a studiare il