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§ 6. — Tac tac tac....
Lei sola, là dentro, quella pallottola d’avorio, correndo, graziosa nella roulette, in senso inverso al quadrante, pareva giocasse:
— Tac tac tac....
Lei sola: non certo quelli che la guardavano, sospesi nel supplizio che cagionava loro il capriccio di essa, a cui — ecco — sotto, su i quadrati gialli del tavoliere, tante mani avevano recato, come in offerta votiva, oro, oro e oro, tante mani che tremavano adesso nell’attesa angosciosa, palpando inconsciamente altro oro, quello della prossima posta, mentre gli occhi supplici pareva dicessero: — Dove a te piaccia, dove a te piaccia di cadere, graziosa pallottola d’avorio, nostra dea crudele!
Ero capitato là, a Montecarlo, per caso.
Dopo una delle solite scene con mia suocera e mia moglie, che ora, oppresso e fiaccato com’ero dalla doppia recente sciagura, mi cagionavano un disgusto intollerabile; non sapendo più resistere alla noja, anzi allo schifo di vivere a quel modo; miserabile, senza nè probabilità nè speranza di miglioramento, senza più il conforto che mi veniva dalla mia dolce bambina, senza alcun compenso, anche minimo, all’amarezza, allo squallore, all’orribile desolazione in cui ero piombato; per una risoluzione