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Precipitavano poi, a quando a quando, dagli scaffali due o tre libri, seguiti da certi topi grossi quanto un coniglio.

Furono per me come la mela di Newton.

— Ho trovato! — esclamai, tutto contento. — Ecco l’occupazione per me, mentre Romitelli legge il suo Birnbaum.

E, per cominciare, scrissi una elaboratissima istanza, d’ufficio, all’esimio cav. Gerolamo Pomino, assessore comunale per la pubblica istruzione, affinchè la biblioteca Boccamazza o di Santa Maria Liberale fosse con la maggior sollecitudine provveduta di un pajo di gatti per lo meno, il cui mantenimento non avrebbe importato quasi alcuna spesa al Comune, atteso che i suddetti animali avrebbero avuto da nutrirsi in abbondanza col provento della loro caccia. Soggiungevo che non sarebbe stato male provvedere altresì la biblioteca d’una mezza dozzina di trappole e dell’esca necessaria, per non dire cacio, parola volgare, che — da subalterno — non stimai conveniente sottoporre a gli occhi d’un assessore comunale per la pubblica istruzione.

Mi mandarono dapprima due gattini così miseri che si spaventarono subito di quegli enormi topi, e — per non morir di fame — si ficcavano loro nelle trappole, a mangiarsi il cacio. Li trovavo ogni mattina là, imprigionati, magri, brutti, e così afflitti che pareva non avessero più nè forza nè volontà di miagolare.

Reclamai, e vennero allora due bei gattoni lesti e serii, che senza perder tempo si misero a fare il loro dovere. Anche le trappole servivano: e queste me li davan vivi, i topi. Ora, una sera, indispettito che di quelle mie fatiche