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m’avrebbe giovato a nulla: il giorno appresso sarei stato da capo. Un collocamento fisso m’abbisognava.

— Aspetta! — esclamò allora Pomino. — Sai che mio padre è ora al Municipio?

— No. Ma me l’immagino.

— Assessore comunale per la pubblica istruzione.

— Questo non me lo sarei immaginato.

— Iersera, a cena... Aspetta! Conosci Romitelli?

— No.

— Come no! Quello che sta laggiù, alla biblioteca Boccamazza. È sordo, quasi cieco, rimbecillito, e non si regge più sulle gambe. Iersera, a cena, mio padre mi diceva che la biblioteca è ridotta in uno stato miserevole e che bisogna provvedere con la massima sollecitudine. Ecco il posto per te!

— Bibliotecario? — esclamai. — Ma io...

— Perchè no? — disse Pomino. — Se l’ha fatto Romitelli...

Questa ragione mi convinse.

Pomino mi consigliò di farne parlare a suo padre da zia Scolastica. Sarebbe stato meglio.

Il giorno appresso, io mi recai a visitar la mamma e ne parlai a lei, poichè zia Scolastica, da me, non volle farsi vedere. E così, quattro giorni dopo, diventai bibliotecario. Sessanta lira al mese. Più ricco della vedova Pescatore! Potevo cantar vittoria.

Nei primi mesi fu quasi un divertimento, con quel Romitelli, a cui non ci fu verso di fare intendere che era stato giubilato dal Comune e che per ciò non doveva più venire alla biblioteca. Ogni mattina, alla stess’ora, nè un minuto