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d’ogni nostro avere; ma figurarsi se Malagna poteva più sentir l’obbligo di venirmi in soccorso dopo quanto era avvenuto tra me e lui.

Il soccorso, invece, mi venne da chi meno avrei potuto aspettarmelo.

Rimasto tutto quel giorno fuori di casa, verso sera, m’imbattei per combinazione in Pomino, che, fingendo di non accorgersi di me, voleva tirar via di lungo.

— Pomino!

Si volse, torbido in faccia, e si fermò, con gli occhi bassi:

— Che vuoi?

— Pomino! — ripetei io più forte, scotendolo per una spalla e ridendo di quella sua mutria. — Dici sul serio?

Oh, ingratitudine umana! Me ne voleva, per giunta, me ne voleva, Pomino, del tradimento che, a suo credere, gli avevo fatto. Nè mi riuscì di convincerlo che il tradimento invece lo aveva fatto lui a me, e che avrebbe dovuto non solo ringraziarmi, ma buttarsi anche a faccia per terra, a baciare dove io ponevo i piedi.

Ero ancora com’ebbro di quella gajezza mala che si era impadronita di me da quando m’ero guardato allo specchio.

— Vedi questi sgraffii? — gli dissi, a un certo punto. — Lei me li ha fatti!

— Ro... cioè, tua moglie?

— Sua madre!

E gli narrai come e perchè. Sorrise, ma parcamente. Forse pensò che a lui non li avrebbe fatti, quegli sgraffii, la vedova Pescatore: era in ben altra condizione dalla mia, e aveva altra indole e altro cuore, lui.

Mi venne allora la tentazione di domandar-