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— Fuori! — mi gridò. — Tu e tua madre, via! Fuori di casa mia!
— Senti, — le dissi io allora, con la voce che mi tremava dal violento sforzo che facevo su me stesso, per contenermi. — Senti: vattene via tu, or ora, con le tue gambe, e non cimentarmi più. Vattene, per il tuo bene! vattene!
Romilda, piangendo e gridando, si levò dalla poltrona e venne a buttarsi tra le braccia della madre:
— No! Tu con me, mamma! Non mi lasciare, non mi lasciare qua sola!
Ma quella degna madre la respinse, furibonda:
— L’hai voluto? tientelo ora, codesto mal ladrone! Io vado sola!
Ma non se ne andò, s’intende.
Due giorni dopo, mandata — suppongo — da Margherita, venne in gran furia, al solito, zia Scolastica, per portarsi via con sè la mamma.
Questa scena merita di essere rappresentata.
La vedova Pescatore stava, quella mattina, a fare il pane, sbracciata, con la gonnella tirata su e arrotolata intorno alla vita, per non sporcarsela. Si voltò appena, vedendo entrare la zia e seguitò ad abburattare, come se nulla fosse. La zia non ci fece caso; del resto, ella era entrata senza salutar nessuno; diviata a mia madre, come se in quella casa non ci fosse altri che lei.
— Subito, via, vèstiti! Verrai con me. Mi fu sonata non so che campana. Eccomi qua. Via, presto! il fagottino!
Parlava a scatti. Il naso adunco, fiero, nella