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— Io no.... no! — fece Pomino. — Ma.... mio padre?

— S’opporrebbe? Per qual ragione? Per la dote, è vero? Non per altro! Perchè ella, sai? è figlia d’un artista, d’un valentissimo incisore, morto.... sì, morto bene, insomma, a Torino.... Ma tuo padre è ricco, e non ha che te solo: ti può dunque contentare, senza badare alla dote! Che se poi, con le buone, non riesci a vincerlo, niente paura: un bel volo dal nido, e s’aggiusta ogni cosa. Pomino, hai il cuore di stoppa?

Pomino rise, e io allora gli dimostrai quattro e quattr’otto che egli era nato marito, come si nasce poeta. Gli descrissi a vivi colori, seducentissimi, la felicità della vita conjugale con la sua Romilda; l’affetto, le cure, la gratitudine ch’ella avrebbe avuto per lui, suo salvatore. E, per concludere:

— Tu ora, — gli dissi, — devi trovare il modo e la maniera di farti notare da lei e di parlarle o di scriverle. Vedi, in questo momento, forse, una tua lettera potrebbe essere per lei, assediata da quel ragno, un’àncora di salvezza. Io intanto frequenterò la casa; starò a vedere; cercherò di cogliere l’occasione di presentarti. Siamo intesi?

— Intesi.

Perchè mostravo tanta smania di maritar Romilda? — Per niente. Ripeto: per il gusto di stordire Pomino. Parlavo e parlavo, e tutte le difficoltà sparivano. Ero impetuoso, e prendevo tutto alla leggera. Forse per questo, allora, le donne mi amavano, non ostante quel mio occhio un po’ sbalestrato e il mio corpo da pezzo da catasta. Questa volta, però, — debbo dirlo — la mia foga proveniva anche dal