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carmi e non mi vendico; ti lascio la moglie, ti lascio in pace, e non ti contenti? Su, Romilda, àlzati! andiamocene via, noi due! Ti propongo un bel viaggetto di nozze... Ci divertiremo! Lascia questo pedante seccatore. Vedi? Pretende ch’io vada a buttarmi davvero nella gora del molino, alla Stia.
— Non pretendo questo! — proruppe Pomino al colmo dell’esasperazione. — Ma vattene, almeno! Vattene via, poichè ti piacque di farti creder morto! Vattene subito, lontano, senza farti vedere da nessuno. Perchè io qua... con te... vivo...
Mi alzai; gli battei una mano su la spalla per calmarlo e gli risposi, prima di tutto, ch’ero già stato a Oneglia, da mio fratello, e che perciò tutti, là, a quest’ora, mi sapevano vivo, e che domani, inevitabilmente, la notizia sarebbe arrivata a Miragno; poi:
— Morto di nuovo? Lontano da Miragno? Tu scherzi, mio caro! — esclamai. — Va’ là: fa’ il marito in pace, senza soggezione... Il tuo matrimonio, comunque sia, s’è celebrato. Tutti approveranno, considerando che c’è di mezzo una creaturina. Ti prometto e giuro che non verrò mai a importunarti, neanche per una miserrima tazza di caffè, neanche per godere del dolce, esilarante spettacolo del vostro amore, della vostra concordia, della vostra felicità edificata su la mia morte... Ingrati! Scommetto che nessuno, neanche tu, sviscerato amico, nessuno di voi è andato ad appendere una corona, a lasciare un fiore su la tomba mia, là nel camposanto... Di’, è vero? Rispondi!
— Ti va di scherzare!... — fece Pomino, scrollandosi.