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— E ora? — gemette Pomino, coprendosi il volto con le mani.
— Ma tu, tu... dove sei stato? Se ti sei finto morto e te ne sei scappato... — prese a strillar la Pescatore, facendosi avanti con le braccia levate.
Glien’afferrai uno, glielo storsi e le urlai:
— Zitta, vi ripeto! Statevene zitta, voi, perchè, se vi sento fiatare, perdo la pietà che m’ispira codesto imbecille di vostro genero e quella creaturina là, e faccio valer la legge! Sapete che dice la legge? Ch’io ora devo riprendermi Romilda...
— Mia figlia? tu? Tu sei pazzo! — inveì, imperterrita, colei.
Ma Pomino, sotto la mia minaccia, le si accostò subito a scongiurarla di tacere, di calmarsi, per amor di Dio.
La megera allora lasciò me, e prese a inveire contro di lui, melenso, sciocco, buono a nulla e che non sapeva far altro che piangere e disperarsi come una femminuccia...
Scoppiai a ridere, fino ad averne male ai fianchi.
— Finitela! — gridai, quando potei frenarmi. — Gliela lascio! la lascio a lui volentieri! Mi credete sul serio così pazzo da ridiventar vostro genero? Ah, povero Pomino! Povero amico mio, scusami, sai? se t’ho detto imbecille; ma hai sentito? te l’ha detto anche lei, tua suocera, e ti posso giurare che, anche prima, me l’aveva detto Romilda, nostra moglie... sì, proprio lei, che le parevi imbecille, stupido, insipido... e non so che altro. È vero, Romilda? di’ la verità... Su, su, smetti di piangere, cara: rassèttati: guarda, puoi far male alla tua pic-