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— Svenuta? La faremo rinvenire.
Pomino mi si parò davanti, supplichevole:
— Per carità... senti... ho paura... come mai, tu... vivo!... Dove sei stato?... Ah, Dio... Senti... Non potresti parlare con me?
— No! — gli gridai. — Con lei devo parlare. Tu, qua, non rappresenti più nulla.
— Come! io?
— Il tuo matrimonio s’annulla.
— Come... che dici? E la piccina?
— La piccina... la piccina... — masticai. — Svergognati! In due anni, marito e moglie, e una figliuola! Zitta, carina, zitta! Andiamo dalla mamma... Su, conducimi! Di dove si prende?
Appena entrai nella camera da letto con la bimba in braccio, la vedova Pescatore fece per saltarmi addosso, come una jena.
La respinsi con una furiosa bracciata:
— Andate là, voi! Qua c’è vostro genero: se avete da strillare, strillate con lui. Io non vi conosco!
Mi chinai verso Romilda, che piangeva disperatamente, e le porsi la figliuola:
— Su, tieni... Piangi? Che piangi? Piangi perchè son vivo? Mi volevi morto? Guardami... su, guardami in faccia! Vivo o morto?
Ella si provò, tra le lagrime, ad alzar gli occhi su me, e con voce rotta dai singhiozzi, balbettò:
— Ma... come... tu? che... che hai fatto?
— Io, che ho fatto? — sogghignai. — Lo domandi a me, che ho fatto? Tu hai ripreso marito... quello sciocco là!... tu hai messo al mondo una figliuola, e hai il coraggio di domandare a me che ho fatto?