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Salii gli ultimi scalini. Col cordoncino del campanello in mano, mentre il cuore mi balzava in gola, tesi l’orecchio. Nessun rumore. E in quel silenzio ascoltai il tin-tin lento del campanello, tirato appena, pian piano.
Tutto il sangue m’affluì alla testa, e gli orecchi presero a ronzarmi, come se quel lieve tintinno che s’era spento nel silenzio, m’avesse invece squillato dentro furiosamente e intronato.
Poco dopo, riconobbi con un sussulto, di là dalla porta, la voce della vedova Pescatore:
— Chi è?
Non potei, lì per lì, rispondere: mi strinsi le pugna al petto, come per impedir che il cuore mi balzasse fuori. Poi, con voce cupa, quasi sillabando, dissi:
— Mattia Pascal.
— Chi?! — strillò la voce di dentro.
— Mattia Pascal, — ripetei, incavernando ancor più la voce.
Sentii scappare la vecchia strega, certo atterrita, e subito immaginai che cosa in quel momento accadeva di là. Sarebbe venuto l’uomo, adesso: Pomino: il coraggioso!
Ma prima bisognò ch’io risonassi, come dianzi, pian piano.
Appena Pomino, spalancata di furia la porta, mi vide — erto — col petto in fuori — innanzi a sè — retrocesse esterrefatto. M’avanzai, gridando:
— Mattia Pascal! Dall’altro mondo.
Pomino cadde a sedere per terra, con un gran tonfo, le braccia puntate indietro, gli occhi sbarrati:
— Mattia! Tu?!