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Quanto avrei fatto meglio a scrivere qualche cosa in quel bigliettino, oltre il nome, la data e l’indirizzo: una ragione qualunque del suicidio. Ma in quel momento... E poi, che ragione?

— Chi sa come e quanto, — pensai, smaniando, — strilleranno adesso i giornali di questo Adriano Meis misterioso... Salterà certo fuori quel mio famoso cugino, quel tal Francesco Meis torinese, ajuto-agente, a dar le sue informazioni alla questura: si faranno ricerche, su la traccia di queste informazioni, e chi sa che cosa ne verrà fuori. Sì, ma i danari? l’eredità? Adriana li ha veduti, tutti que’ miei biglietti di banca... Figuriamoci Papiano! Assalto allo stipetto! Ma lo troverà vuoto... E allora, perduti? in fondo al fiume? Peccato! peccato! Che rabbia non averli rubati tutti a tempo! La questura sequestrerà i miei abiti, i miei libri... A chi andranno? Oh! almeno un ricordo alla povera Adriana! Con che occhi guarderà ella, ormai, quella mia camera deserta?

Così, domande, supposizioni, pensieri, sentimenti tumultuavano in me, mentre il treno rombava nella notte. Non mi davano requie.

Stimai prudente fermarmi qualche giorno a Pisa per non stabilire una relazione tra la ricomparsa di Mattia Pascal a Miragno e la scomparsa di Adriano Meis a Roma, relazione che avrebbe potuto facilmente saltare a gli occhi, specie se i giornali di Roma avessero troppo parlato di questo suicidio. Avrei aspettato a Pisa i giornali di Roma, quelli de la sera e quelli del mattino; poi, se non si fosse fatto troppo chiasso, prima che a Miragno,