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mi facesse da testimonio: lui e il Paleari: a chi altri avrei potuto rivolgermi?

— Io? — esclamò, candido e stupito, il signor Anselmo. — Ma che! Nossignore! Dice sul serio? — (e sorrideva). — Non m’intendo di tali faccende, io, signor Meis... Via, via, ragazzate, sciocchezze, scusi...

— Lei lo farà per me, — gli gridai energicamente, non potendo entrare in quel momento in discussione con lui. — Andrà con suo genero a trovare quel signore, e...

— Ma io non vado! Ma che dice! — m’interruppe. — Mi domandi qualunque altro servizio: son pronto a servirla; ma questo, no: non è per me, prima di tutto; e poi, via, glie l’ho detto: ragazzate! Non bisogna dare importanza... Che c’entra...

— Questo, no! questo, no! — interloquì Papiano vedendomi smaniare. — C’entra benissimo! Il signor Meis ha tutto il diritto d’esigere una soddisfazione; direi anzi che è in obbligo, sicuro! deve, deve...

— Andrà dunque lei con un suo amico, — dissi, non aspettandomi anche da lui un rifiuto.

Ma Papiano aprì le braccia addoloratissimo.

— Si figuri con che cuore vorrei farlo!

— E non lo fa? — gli gridai forte, in mezzo alla strada.

— Piano, signor Meis, — pregò egli, umile. — Guardi... Senta: mi consideri... consideri la mia infelicissima condizione di subalterno... di miserabile segretario del marchese... servo, servo, servo...

— Che ci ha da vedere? Il marchese stesso... ha sentito?

— Sissignore! Ma domani? Quel clericale...