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grime, mi fece intendere su che cosa me lo giurava, che cosa avesse di più caro.
Povera Adriana!
Rimasi lì, solo, in mezzo alla camera, sbalordito, vuoto, annientato, come se tutto il mondo per me si fosse fatto vano. Quanto tempo passò prima ch’io mi riavessi? E come mi riebbi? Scemo... scemo!... Come uno scemo, andai a osservare lo sportello dello stipetto, per vedere se non ci fosse qualche traccia di violenza. No: nessuna traccia: era stato aperto pulitamente, con un grimaldello, mentr’io custodivo con tanta cura in tasca la chiave.
« — E non si sente lei, — mi aveva domandato il Paleari alla fine dell’ultima seduta, — non si sente lei come se le avessero sottratto qualche cosa?
Dodici mila lire!
Di nuovo il pensiero della mia assoluta impotenza, della mia nullità mi assalì, mi schiacciò. Il caso che potessero rubarmi e che io fossi costretto a restar zitto, così, e finanche con la paura che il furto fosse scoperto, come se l’avessi commesso io e non un ladro a mio danno, non mi s’era davvero affacciato alla mente.
— Dodici mila lire? Ma poche! poche! possono rubarmi tutto, levarmi fin la camicia di dosso; e io, zitto! Che diritto ho io di parlare? La prima cosa che mi domanderebbero, sarebbe questa: « E voi chi siete? Donde vi era venuto quel denaro? » Ma senza denunziarlo... vediamo un po’! se questa sera io lo afferro per il collo e gli grido: — « Qua subito il denaro che hai tolto di là, dallo stipetto, pezzo di ladro! » — Egli strilla; nega; può forse dirmi: —