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legge. E chiunque, ormai, poteva rubarmi; e io, zitto!

Ma, tutto questo, Papiano non poteva saperlo. E dunque?

— Come ha potuto farlo? — dissi quasi tra me. — Donde ha potuto trârre tanto ardire?

Adriana levò il volto dalle mani e mi guardò stupita, come per dirmi: « E non lo sai? ».

— Ah, già! — feci, comprendendo a un tratto.

— Ma lei lo denunzierà! — esclamò ella, levandosi in piedi. — Mi lasci, la prego, mi lasci chiamare il babbo... Lo denunzierà subito!

Feci in tempo a trattenerla ancora una volta. Non ci mancava altro, che ora, per giunta, Adriana mi costringesse a denunziare il furto! Non bastava che mi avessero rubato, come niente, dodici mila lire? Dovevo anche temere che il furto si conoscesse; pregare, scongiurare Adriana che non lo gridasse forte, non lo dicesse a nessuno, per carità? Ma che! Adriana — e ora lo intendo bene — non poteva assolutamente permettere che io tacessi e obbligassi anche lei al silenzio, non poteva in verun modo accettare quella che pareva una mia generosità, per tante ragioni: prima per il suo amore, poi per l’onorabilità della sua casa, e anche per me e per l’odio ch’ella portava al cognato.

Ma in quel frangente, la sua giusta ribellione mi parve proprio di più: esasperato, le gridai:

— Lei si starà zitta: gliel’impongo! Non dirà nulla a nessuno, ha capito? Vuole uno scandalo?

— No! no! — s’affrettò a protestare, piangendo, la povera Adriana. — Voglio liberar la mia casa dall’ignominia di quell’uomo!