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chiave non girava entro la serratura: spinsi appena appena e, subito, lo sportellino cedette: era aperto!

— Come! — esclamai. — Possibile ch’io l’abbia lasciato così?

Notando il mio improvviso turbamento, Adriana era diventata pallidissima. La guardai, e:

— Ma qui... guardi, signorina, qui qualcuno ha dovuto metter le mani!

C’era dentro lo stipetto un gran disordine: i miei biglietti di banca erano stati tratti dalla busta di cuojo, in cui li tenevo custoditi, ed erano lì sul palchetto sparpagliati. Adriana si nascose il volto con le mani, inorridita. Io raccolsi febbrilmente quei biglietti e mi diedi a contarli.

— Possibile? — esclamai, dopo aver contato, passandomi le mani tremanti su la fronte ghiaccia di sudore.

Adriana fu per mancare, ma si sorresse a un tavolinetto lì presso e domandò con una voce che non mi parve più la sua:

— Hanno rubato?

— Aspetti... aspetti... Com’è possibile? — dissi io.

E mi rimisi a contare, sforzando rabbiosamente le dita e la carta, come se, a furia di stropicciare, potessero da quei biglietti venir fuori gli altri che mancavano.

— Quanto? — mi domandò ella, scontraffatta dall’orrore, dal ribrezzo, appena ebbi finito di contare.

— Dodici... dodici mila lire... — balbettai. — Erano sessantacinque... sono cinquantatre! Conti lei...