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e, più di ogni altro, Papiano e la signorina Caporale.

— Scipione! Scipione! — chiamò Terenzio.

L’epilettico era caduto per terra e rantolava stranamente.

— A sedere! — gridò il signor Anselmo. — È caduto in trance anche lui! Ecco, ecco, il tavolino si muove, si solleva, si solleva... La levitazione! Bravo, Max! Evviva!

E davvero il tavolino, senza che nessuno lo toccasse, si levò alto più d’un palmo dal suolo e poi ricadde pesantemente.

La Caporale, livida, tremante, atterrita, venne a nascondere la faccia sul mio petto. La signorina Pantogada e la governante scapparono via dalla camera, mentre il Paleari gridava irritatissimo:

— No, qua, perbacco! Non rompete la catena! Ora viene il meglio! Max! Max!

— Ma che Max! — esclamò Papiano, scrollandosi alla fine dal terrore che lo teneva inchiodato e accorrendo al fratello per scuoterlo e richiamarlo in sè.

Il ricordo del bacio fu per il momento soffocato in me dallo stupore per quella rivelazione veramente strana e inesplicabile, a cui avevo assistito. Se, come sosteneva il Paleari, la forza misteriosa che aveva agito in quel momento, alla luce, sotto gli occhi miei, proveniva da uno spirito invisibile, evidentemente, questo spirito non era quello di Max: bastava guardar Papiano e la signorina Caporale per convincersene. Quel Max, lo avevano inventato loro. Chi dunque aveva agito? chi aveva avventato sul tavolino quel pugno formidabile?

Tante cose lette nei libri del Paleari mi