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— Ci sei?

Due colpi, lievi, sul tavolino. — C’era!

— E come va, Max, — domandò il Paleari, in tono d’amorevole rimprovero, — che tu, tanto buono, tanto gentile, hai trattato così malamente la signorina Silvia? Ce lo vuoi dire?

Questa volta il tavolino si agitò dapprima un poco, quindi tre colpi secchi e sodi risonarono nel mezzo di esso. Tre colpi: dunque, no: non ce lo voleva dire.

— Non insistiamo! — si rimise il signor Anselmo. — Tu sei forse ancora un po’ alterato, eh, Max? Lo sento, ti conosco... ti conosco... Vorresti dirci almeno se la catena così disposta ti accontenta?

Non aveva il Paleari finito di far questa domanda, ch’io sentii picchiarmi rapidamente due volte su la fronte, quasi con la punta di un dito.

— Sì! — esclamai subito, denunciando il fenomeno; e strinsi la mano d’Adriana.

Debbo confessare che quel « toccamento » inatteso mi fece pure, lì per lì, una strana impressione. Ero sicuro che, se avessi levato a tempo la mano, avrei ghermito quella di Papiano, e tuttavia... La delicata leggerezza del tocco e la precisione erano state, a ogni modo, meravigliose. Poi, ripeto, non me l’aspettavo. Ma perchè intanto Papiano aveva scelto me per manifestar la sua remissione? Aveva voluto con quel segno tranquillarmi, o era esso all’incontro una sfida e significava: — « Adesso vedrai se son contento »?

— Bravo, Max! — esclamò il signor Anselmo.

E io, tra me: