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rucca? che diavolo era?). Di sotto quel carico enorme uscivan di tratto in tratto certi sospiri terminati da un breve gemito. Nessuno aveva pensato a presentarmi a quella signora Candida: ora, per far la catena, dovevamo tenerci per mano; e lei sospirava. Non le pareva ben fatto, ecco. Dio, che mano fredda!
Con l’altra mano tenevo la sinistra della signorina Caporale seduta a capo del tavolino, con le spalle contro il lenzuolo appeso all’angolo; Papiano le teneva la destra. Accanto ad Adriana, dall’altra parte, sedeva il pittore; il signor Anselmo stava all’altro capo del tavolino, dirimpetto alla Caporale.
Papiano disse:
— Bisognerebbe spiegare innanzi tutto al signor Meis e alla signorina Pantogada il linguaggio... come si chiama?
— Tiptologico, — suggerì il signor Anselmo.
— Prego, anche a me, — si rinzelò la signora Candida, agitandosi su la seggiola.
— Giustissimo! Anche alla signora Candida, si sa!
— Ecco, — prese a spiegare il signor Anselmo. — Due colpi vogliono dir sì...
— Colpi? — interruppe Pepita. — Che colpi?
— Colpi, — rispose Papiano, — o battuti sul tavolino o su le seggiole o altrove o anche fatti percepire per via di toccamenti.
— Ah no-no-no-no-nò! — esclamò allora quella a precipizio, balzando in piedi. — Ió no ne amo, tocamenti. De chi?
— Ma dello spirito di Max, signorina, — le spiegò Papiano. — Gliel’ho accennato, venendo: non fanno mica male, si rassicuri.
— Tittologichi, — aggiunse con aria di com-