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cusava d’assistere a quegli esperimenti? Pe’ suoi scrupoli religiosi. Ora, se la nipote del marchese Giglio avrebbe preso parte a quelle sedute, col consenso del nonno clericale, non avrebbe potuto anch’ella parteciparvi? Forte di questo argomento, io cercai di persuaderla, la vigilia della prima seduta.

Era entrata in camera mia col padre, il quale udita la mia proposta:

— Ma siamo sempre lì, signor Meis! — sospirò. — La religione, di fronte a questo problema, drizza orecchie d’asino e adombra, come la scienza. Eppure i nostri esperimenti, l’ho già detto e spiegato tante volte a mia figlia, non sono affatto contrarii nè all’una nè all’altra. Anzi, per la religione segnatamente, sono una prova delle verità che essa sostiene.

— E se io avessi paura? — obbiettò Adriana.

— Di che? — ribattè il padre. — Della prova?

— O del bujo? — aggiunsi io. — Siamo tutti qua, con lei, signorina! Vorrà mancare lei sola?

— Ma io... — rispose, impacciata, Adriana, — io non ci credo, ecco... non posso crederci, e... che so!

Non potè aggiunger altro. Dal tono della voce, dall’imbarazzo, io però compresi che non soltanto la religione vietava ad Adriana d’assistere a quegli esperimenti. La paura messa avanti da lei per iscusa poteva avere altre cause, che il signor Anselmo non sospettava. O le doleva forse d’assistere allo spettacolo miserevole del padre puerilmente ingannato da Papiano e dalla signorina Caporale?

Non ebbi animo d’insistere più oltre.

Ma ella, come se mi avesse letto in cuore