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un bambino crudele. Mi pare, signor Adriano, che noi ci troviamo adesso in uno di questi momenti. Gran bujo e gran confusione! Tutti i lanternoni, spenti. A chi dobbiamo rivolgerci? Indietro, forse? Alle lucernette superstiti, a quelle che i grandi morti lasciarono accese su le loro tombe? Ricordo una bella poesia di Niccolò Tommaseo:


                    La piccola mia lampa
                Non, come sol, risplende,
                Nè, come incendio, fuma;
                Non stride e non consuma,
                Ma con la cima tende
                Al ciel che me la diè.
                    Starà su me, sepolto,
                Viva; nè pioggia o vento,
                Nè in lei le età potranno;
                E quei che passeranno
                Erranti, a lume spento,
                Lo accenderan da me.

Ma come, signor Meis, se alla lampa nostra manca l’olio sacro che alimentava quella del Poeta? Molti ancora vanno nelle chiese per provvedere dell’alimento necessario le loro lanternucce. Sono, per lo più, poveri vecchi, povere donne, a cui mentì la vita, e che vanno innanzi, nel bujo dell’esistenza, con quel loro sentimento acceso come una lampadina votiva, cui con trepida cura riparano dal gelido soffio degli ultimi disinganni, chè duri almeno accesa fin là, fino all’orlo fatale, al quale s’affrettano, tenendo gli occhi intenti alla fiamma e pensando di continuo: — Dio mi vede! — per non udire i clamori della vita intorno, che suo-