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— Agradecio Dio, ántes che me la son levada de sobre!
Lo Spagnuolo? quel mio spagnoletto barbuto e atticciato di Montecarlo? colui che voleva giocar con me e col quale m’ero bisticciato a Nizza?... Ah, perdio! Ecco la traccia! Era riuscito a scoprirla Papiano!
Balzai in piedi, reggendomi al tavolino per non cadere, nell’improvviso smarrimento angoscioso: stupefatto, quasi atterrito, tesi l’orecchio, con l’idea di fuggire non appena quei due — Papiano e lo Spagnuolo (era lui, non c’era dubbio: lo avevo veduto nella sua voce) — avessero attraversato il corridojo. Fuggire? E se Papiano, entrando, aveva domandato alla serva s’io fossi in casa? Che avrebbe pensato della mia fuga? Ma d’altra parte, se già sapeva ch’io non ero Adriano Meis? Piano! Che notizia poteva aver di me quello Spagnuolo? Mi aveva veduto a Montecarlo. Gli avevo io detto, allora, che mi chiamavo Mattia Pascal? Forse! Non ricordavo...
Mi trovai, senza saperlo, davanti allo specchio, come se qualcuno mi ci avesse condotto per mano. Mi guardai. Ah quell’occhio maledetto! Forse per esso colui mi avrebbe riconosciuto. Ma come mai, come mai Papiano era potuto arrivare fin là, fino alla mia avventura di Montecarlo? Questo più d’ogni altro mi stupiva. Che fare intanto? Niente. Aspettar lì che ciò che doveva avvenire avvenisse.
Non avvenne nulla. E pur non di meno la paura non mi passò, neppure la sera di quello stesso giorno, allorchè Papiano, spiegandomi il mistero per me insolubile e terribile di quella visita, mi dimostrò ch’egli non era affatto su la