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Ma creda pure che è stata una combinazione. Ecco qua: son dovuto andare questa mattina all’Agenzia delle imposte, per conto del marchese, mio principale. Mentr’ero là, ho sentito chiamar forte: — Signor Meis! signor Meis! — Mi volto subito, credendo che vi sia anche lei, per qualche affare, chi sa avesse, dico, bisogno di me, sempre pronto a servirla. Ma che! chiamavano a questo bel tomo, come lei ha detto giustamente; e allora, così.... per curiosità, mi avvicinai e gli domandai se si chiamasse proprio Meis e di che paese fosse, poichè io avevo l’onore e il piacere d’ospitare in casa un signor Meis... Ecco com’è andata! Lui mi ha assicurato che lei doveva essere suo parente, ed è voluto venire a conoscerla...
— All’Agenzia dell’imposte?
— Sissignore, è impiegato là: ajuto-agente.
Dovevo crederci? Volli accertarmene. Ed era vero, sì; ma era vero del pari che Papiano, insospettito, mentre io volevo prenderlo di fronte, là, per contrastare nel presente a’ suoi segreti armeggii, mi sfuggiva, mi sfuggiva per ricercare invece nel mio passato e assaltarmi così quasi a le spalle. Conoscendolo bene, avevo pur troppo ragione di temere che egli, con quel fiuto nel naso, fosse bracco da non andare a lungo a vento: guaj se fosse riuscito ad aver sentore della minima traccia: l’avrebbe certo seguitata fino al molino della Stia.
Figurarsi dunque il mio spavento, quando, indi a pochi giorni, mentre me ne stavo in camera a leggere, mi giunse dal corridojo, come dall’altro mondo, una voce, una voce ancor viva nella mia memoria: