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nosciuto? Volli domandarglielo. Ebbene, sì: lo aveva conosciuto, non ricordava con precisione se a Pavia o a Piacenza.
— Ah sì? proprio conosciuto? e com’era?
Era.... non se ne ricordava lui, franc nen.
— A sôn passà trant’ani....
Non pareva affatto in mala fede; pareva piuttosto uno sciagurato che avesse affogato la propria anima nel vino, per non sentir troppo il peso della noja e della miseria. Chinava il capo, con gli occhi chiusi, approvando tutto ciò ch’io dicevo per pigliarmelo a godere; son sicuro che se gli avessi detto che da bambini noi eravamo cresciuti insieme e che parecchie volte io gli avevo strappati i capelli, egli avrebbe approvato allo stesso modo. Non dovevo mettere in dubbio soltanto una cosa, che noi cioè fossimo cugini: su questo non poteva transigere: era ormai stabilito, ci s’era fissato, e dunque basta.
A un certo punto, però, guardando Papiano e vedendolo gongolante, mi passò la voglia di scherzare. Licenziai quel pover’uomo mezzo ubriaco, salutandolo: — Caro parente! — e domandai a Papiano, con gli occhi fissi negli occhi, per fargli intender bene che non ero pane pe’ suoi denti:
— Mi dica adesso dov’è andato a scovare quel bel tomo.
— Scusi tanto, signor Adriano! — premise quell’imbroglione, a cui non posso fare a meno di riconoscere una grande genialità. — Mi accorgo di non essere stato felice....
— Ma lei è felicissimo, sempre! — esclamai io.
— No, intendo: di non averle fatto piacere.