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Chiusa in sè e più schiva del solito, Adriana s’appressò a noi: cinse con un braccio la vita della signorina Caporale e accennò a me un lieve saluto col capo. Provai, dopo quelle confidenze, una stizza violenta nel vederla così sottomessa e quasi schiava dell’odiosa tirannia di quel cagliostro. Poco dopo però, comparve nel terrazzino, come un’ombra, il fratello di Papiano.

— Eccolo, — disse piano la Caporale ad Adriana.

Questa socchiuse gli occhi, sorrise amaramente, scosse il capo e si ritrasse dal terrazzino, dicendomi:

— Scusi, signor Meis. Buona sera.

— La spia, — mi susurrò la signorina Caporale, ammiccando.

— Ma di che teme la signorina Adriana? — mi scappò detto, nella cresciuta irritazione. — Non capisce che, facendo così, dà più ansa a colui da insuperbire e da far peggio il tiranno? Senta, signorina, io le confesso che provo una grande invidia per tutti coloro che sanno prender gusto e interessarsi alla vita, e li ammiro. Tra chi si rassegna a far la parte della schiava e chi si assume, sia pure con la prepotenza, quella del padrone, la mia simpatia è per quest’ultimo.

La Caporale notò l’animazione con cui avevo parlato e, con aria di sfida, mi disse:

— E perchè allora non prova a ribellarsi lei per primo?

— Io?

— Lei, lei, — affermò ella, guardandomi negli occhi, aizzosa.

— Ma che c’entro io? — risposi. — Io po-